28 ottobre 1922. 26.000 fascisti si dirigono verso la capitale.
Ha detto Mussolini che prenderanno il governo “calando su Roma”.
Lui intanto è a Milano, a 600 km. da Roma, ma anche a due passi dalla frontiera svizzera.
Il governo mobilita l’esercito, blocca le linee ferroviarie. I treni che trasportano i fascisti si fermano a Civitavecchia, ad Avezzano, a Orte.
Il Re è molto incerto e alla fine decide di non firmare lo stato d’assedio. Pensa a un Governo che coinvolga Mussolini.
Lui, sul suo giornale, Il Popolo d’Italia, scrive: “Il governo dev’essere nettamente fascista. Si decidano: il fascismo vuole il potere e l’avrà”.
Gli comunicano per telefono che avrà l’incarico di formare il ministero, ma lui pretende un impegno scritto. Riceve un dispaccio telegrafico, allora prende il treno e in vagone letto raggiunge Roma.
31 ottobre 1922: Le camicie nere entrano in città. Sfilano da piazza del Popolo, per il Corso, fino all’Altare della Patria e al Quirinale.
Roma pare una città presa d’assedio. I fascisti devastano sedi di giornali, la direzione del partito socialista, la Casa del Popolo. In serata ripartono dalla Stazione Termini.
16 novembre 1922: Per la prima volta Mussolini, capo del Governo, si presenta alla Camera.
Il racconto del deputato Emilio Lussu:
Alla Camera dei deputati, l’aspettativa era immensa. Le tribune erano in gran parte occupate dagli squadristi. I deputati erano pressoché tutti ai loro scranni.
Mussolini entrò nell’aula, alla testa dei membri del governo, con passo trionfale. Egli era, naturalmente, a piedi, ma, camminando, sembrava a cavallo. Da tutte le tribune e dai banchi della destra lo accolse un uragano di applausi. I fascisti si levarono in piedi e intonarono gli inni della guerra civile. Mussolini si irrigidì sull’attenti e, ripetutamente, salutò alla romana.
Maggio 1924. Si sono svolte le elezioni. Alla Camera il deputato Giacomo Matteotti sostiene che non sono valide perché svolte fra violenze e intimidazioni. Il suo discorso viene continuamente interrotto dagli urli minacciosi della maggioranza.
10 giugno 1924. Matteotti scompare. Presto si scopre che è stato rapito sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, mentre si recava in Parlamento.
Ancora Emilio Lussu:
Mussolini, il giorno 12, si sentiva completamente sicuro di sé. I deputati fascisti erano di ottimo umore. Gli squadristi erano gongolanti di gioia.
La situazione cominciò a capovolgersi poco dopo, quando vennero alla luce i primi nomi degli alti gerarchi implicati nel delitto.
Mai commozione più profonda agitò il paese, in tutti i suoi ceti.
I deputati d’opposizione abbandonarono l’aula e dichiararono di non mettervi più piede fin a quando una sanzione giudiziaria non avesse colpito tutti i responsabili.
Roma conobbe giorni di agitazione intensa. Tutti reclamavano le dimissioni del governo. Nelle case, negli uffici, nelle fabbriche, nei ritrovi pubblici, nelle vie, nessuno parlava d’altro.
I capi dell’opposizione venivano acclamati per strada. I fascisti erano dovunque accolti con urli e fischi.
La secessione dei parlamentari dell’opposizione viene detta dell’“Aventino”, nel ricordo della protesta dei plebei nell’antica Roma. Fra gli oppositori solo i comunisti ritengono che non sia opportuno abbandonare il Parlamento nelle mani dei fascisti.
Alcuni deputati chiedono al Re d’intervenire. Lui non risponde neppure.
3 gennaio 1925. Mussolini parla alla Camera. Dichiara che da solo si assume la responsabilità morale, politica e storica di quanto è avvenuto.
I responsabili del delitto, amnistiati, escono dal carcere. Gli aventiniani e i comunisti vengono dichiarati decaduti.
La fine delle libertà.
1925-1926. Vengono emanate le “leggi fascistissime”, che rendono legale la violenza del regime. Ora chi esprime in qualche modo un dissenso finisce in carcere.
A Roma il carcere è quello di Regina Coeli. Nel VI braccio, in isolamento, sono in gran parte reclusi i detenuti politici.
Così Francesco Saverio Nitti descrive le celle d’isolamento:
Ogni cella è lunga un metro e mezzo e larga un metro. Ha una porta di legno massiccio, fornita di due cancelli di ferro. Un uomo chiuso là dentro per tanti giorni ha l’impressione di essere sepolto vivo. Il pane e l’acqua sono i suoi alimenti. Una tavola di legno fissata al muro è il giaciglio. La luce entra da un piccolo finestrino sul soffitto altissimo.
30 maggio 1930. Ernesto Rossi ed altri esponenti di “Giustizia e Libertà” dal carcere di Regina Coeli vengono trasferiti al Tribunale Speciale con l’imputazione di cospirazione.
Il Pubblico Ministero legge in aula il loro programma considerandolo un’autoaccusa da parte degli imputati, la prova del loro reato:
Giustizia e Libertà si batte per il rovesciamento della dittatura fascista e per la conquista di un regime libero, democratico, repubblicano. Agisce sul terreno rivoluzionario perché la dittatura ha reso impossibile ogni altra forma di lotta. Afferma che la liberazione d’Italia deve essere opera degli italiani. Dichiara che la lotta è durissima e impone i massimi sacrifici. Questo è il prezzo del secondo Risorgimento italiano.
A questo punto interviene l’avvocato di uno degli imputati: Certo, ed è in quest’aula che incomincia il nuovo Risorgimento italiano.
1929. Cresce la fiducia nel Fascismo con l’accordo stipulato da Mussolini con la Chiesa Cattolica attraverso i Patti Lateranensi.
Gli oppositori sono stati assassinati, sono in carcere, al confino, in esilio, non sembrano più un problema. Il Fascismo non ha più bisogno di azioni squadristiche.
Piace l’idea fascista di un’Italia che intende recuperare la grandezza dell’antica Roma.
Ed è con questa prospettiva che Mussolini vuole realizzare un diverso paesaggio urbano, moderno, ma nel culto della tradizione.
Al centro di questo progetto c’è Roma. La capitale, dovrà essere la vetrina dell’Impero riapparso “sui colli fatali di Roma”.
“Roma, dice Mussolini, dovrà sorprendere l’universo: meravigliosa, ordinata, potente come lo è stata ai tempi di Augusto”.
Gli architetti sono incaricati di realizzare impianti sportivi, scuole, biblioteche, ospedali, stazioni, “Case del Fascio”, un progetto di radicale trasformazione urbanistica., che verrà affidato a Marcello Piacentini. E’ lui “l’architetto del principe”, il sostenitore di un’architettura monumentale, in linea con le idee di romanità e di grandezza del Fascismo.
E’ un progetto che richiederà una serie di sventramenti e poco importa se verranno cancellate tracce importanti del passato.
Così saranno abbattuti antichi palazzi, giardini storici, chiese medievali, rinascimentali, barocche per
realizzare, fra piazza Venezia e il Colosseo, una grande strada destinata ad ospitare le imponenti parate del fascismo.
E’ la via dell’Impero, un lavoro immane, che sarà completato in soli 16 mesi, in tempo per la celebrazione del decennale della Marcia su Roma, il 28 ottobre 1932.
Nel 1936, per creare la grande via della Conciliazione, che dovrà ospitare cerimonie, giubilei e benedizioni, si procede alla demolizione della “spina dei borghi”, l’area intorno a San Pietro.
Una piccola parte degli sfrattati dagli sventramenti andranno ad abitare nelle case popolari della Garbatella, oggi quartiere alla moda. Quasi tutti andranno a popolare le misere borgate di periferia. Dovranno lasciare le botteghe del centro storico e la loro vita sarà più dura, in stanze senza acqua e servizi e con la difficoltà di raggiungere il posto di lavoro.
Ma in questo periodo Roma potrà gloriarsi di grandi opere pubbliche:
il Foro Mussolini, oggi Foro Italico, dell’architetto Enrico Del Debbio,
“La Sapienza”, la cittadella degli Studi,
Cinecittà, la città del cinema.
Un progetto grandioso si prevede, poi, per la celebrazione, nel ’42, del ventesimo dell’era fascista. Si pensa a un’esposizione universale, dove presentare al mondo i traguardi raggiunti dal Fascismo.
Nasce così, da un disegno di Marcello Piacentini, l’E42 o EUR, Esposizione Universale di Roma.
Gli edifici sono maestosi, con colonne e porticati. Domina il Palazzo della Civiltà del Lavoro, quadrato, tutto ad archi per celebrare la romanità.
Purtroppo Mussolini entrerà in guerra e il grande progetto dell’ EUR rimarrà incompiuto e negli anni ’50 e ’60 stravolto da uno sviluppo edilizio meno ordinato.
Ma non solo edilizia monumentale, viene dato spazio anche a concezioni di architettura diverse, vicine al razionalismo del movimento “Bauhaus” di Walter Gropius.
Così nelle opere di Adalberto Libera,
e in quelle di Luigi Moretti.
“Nerone” del grande Ettore Petrolini, che vuole una “Roma più bella e superba che pria”, ci farebbe pensare a Mussolini, se non fosse stato scritto nel 1917.
Gli anni ’30 sono gli anni del massimo consenso. Molti italiani sembrano aver dimenticato le violenze squadriste e la spietata repressione dei dissidenti. I più sembrano apprezzare lo Stato forte, con un capo che decide per tutti e pensano che l’Italia sia una grande potenza militare quando assistono alla imponente parata militare, con cui il Duce rende omaggio a Hitler.
Ma per gli ebrei italiani, molti dei quali erano stati ferventi fascisti, è duro il risveglio quando, nel 1938, vengono emanate le leggi razziali.
Il ricordo di Alberto Mieli:
Un giorno, non lo dimenticherò mai, fui chiamato dal preside dell’Istituto di Avviamento Professionale “Michele Bianchi” a Testaccio dove studiavo. Ricordo quest’uomo serio, dignitoso, con una barba bianca curatissima. Mi guardò e mi disse: ‘Ragazzo, tu da domani non potrai più venire a scuola, sono state approvate queste nuove leggi”. Mi lesse la circolare e mi accorsi che piangeva, ricordo ancora le lacrime che gli bagnavano la barba. Poi aggiunse: ‘Vedrai, tutto questo finirà presto e tu potrai tornare a studiare’. E piangeva.
Il ricordo di Adolfo Perugia:
Io nel 1938, a sette anni e mezzo, fui il primo alunno buttato fuori da tutte le scuole del Regno di ogni ordine e grado. Non potevo frequentare neppure la scuola ebraica in quanto ero figlio di uno di Giustizia e Libertà, dunque perseguitato politico e razziale.
A partire dal 3 giugno 1942, gli ebrei romani fra i 18 e i 45 anni saranno obbligati a svolgere lavori di scavo, pulitura e potenziamento degli argini del Tevere. Molti devono recarsi al lavoro obbligatorio ad Acilia e spendono per il trasporto più soldi di quanti ne guadagnino.
10 giugno 1940: L’Italia fascista entra in guerra a fianco della Germania, contro la Francia e l’Inghilterra, “democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”.
L’annuncio di Benito Mussolini dal balcone di Piazza Venezia è accolto da una folla entusiasta.
Dal diario di Giaime Pintor:
Venne la notizia dell’adunata e io diedi appuntamento alle 4 in Piazza di Spagna a Michele e Valentino. Così ci unimmo alla fiumana di persone che si avviava a Piazza Venezia.
Una folla enorme occupava la piazza, noi stavamo schiacciati contro un angolo in mezzo a quel curioso popolo di Roma che litiga e ride nelle circostanze più gravi. Dopo molti clamori e invocazioni si aprirono solennemente i battenti e apparve Mussolini. Non sentii quasi nulla del discorso. “Cos’ha detto?” domandavano i vicini quando un urlo di entusiasmo interrompeva il duce. Poi arrivarono le parole “ambasciatori di Francia e Inghilterra”, “consegnati” ... e noi tre capimmo che era la guerra. Fino a quel momento nessuno ne era sicuro.
Il discorso fu breve e poi quel popolo chiassoso e felice si riversò nelle strade e corse al Quirinale a salutare il Re.
Noi seguimmo perplessi il movimento della folla, guardando i volti eccitati delle donne e godendo lo splendido crepuscolo di giugno. Così questo fatto atteso e temuto era entrato nella nostra vita e probabilmente ne avvertimmo subito le conseguenze. Ignaro di tanto il pubblico che era seduto nei caffè e nelle birrerie passava serenamente quel tardo pomeriggio festivo.
Ci salutammo con quella tristezza. A casa trovai mia zia che piangeva disperatamente. Quella stessa notte fu dato il primo allarme aereo che provocò grande emozione. Io rimasi a letto.
Una testimone:
La cosa che mi ricordo di più di questa guerra è la gran fame che avevo. Andavo a dormire con la fame, mi svegliavo con la fame. Ed ero terrorizzata dai bombardamenti, soprattutto dagli allarmi dei bombardamenti, perché svegliarmi nella notte significava risvegliare la fame.
Avevamo delle tessere annonarie con dei tagliandi che ci davano diritto a una certa razione mensile. Se uno adoperava tutti i tagliandi all’inizio del mese, poi non aveva più niente da mangiare. E già cominciava la borsa nera e alla borsa nera si comperava qualcosina ogni tanto, con enormi sacrifici.
Enormi sono le sofferenze non solo per gli uomini al fronte, ma anche per la popolazione. Bombardamenti a tappeto martellano le città, con migliaia di vittime, incendi, immani distruzioni.
Roma, sede del Papa, in tre anni di guerra, sembra essere risparmiata.
1943. Ma nel 1943 la situazione precipita. Le nostre truppe, in Russia, in Africa, sono in ritirata. Gli alleati sbarcano in Sicilia.
19 luglio 1943. Roma per la prima volta, viene bombardata. Il quartiere San Lorenzo. è quasi completamente devastato, vengono colpiti lo scalo ferroviario, i palazzi, l’Università, il cimitero del Verano, la basilica medievale. Migliaia sono i morti e i feriti.
Ricorda Lallo Bruscani:
Ci rifugiammo alla basilica di San Giovanni, non all’ingresso principale, ma dietro, sul piazzale Laterano. Ricordo l’effetto: sembrava che le bombe cadessero dentro la chiesa, invece erano su San Lorenzo. Vidi passare, ecco vidi... lo dissi anche agli altri commilitoni: ma potemo mai vince la guera, noiantri? Ecco, passavano i soccorsi che portavano i feriti all’ospedale San Giovanni, coi tricicli, coi motorini montati sui carrettini, con le carriole a mano. Una pena! E poi vidi, e fu un brutto effetto, passare in alto gli aerei americani, formazioni su formazioni, la nostra contraerea non ci arrivava a colpirli. Ma guarda tu sì che robba, dicevamo.
L’effetto umano mi impressionò quando tornai sul luogo. ... Ricordo un compagno militare che mi vide entrare a San Lorenzo e mi urlò “Bruscani! No così! No così!” Stava sulle macerie della sua casa, che era venuta giù. Intendeva: non in questa maniera. Io gli feci: “la guerra è guerra, e questa l’abbiamo voluta noi”. Lui aveva perso la casa, intendeva dire che la guerra fatta così contro i civili non era giusta. Soprattutto la scena era terrificante. I soldati coi picconi sotto i palazzi sventrati che potevano franargli addosso. Ci sarebbe voluto ben altro, gru pesanti, trattori, ma non c’era niente. C’era solo il mormorio della gente che era avvelenata, era ostile, imprecava apertamente conto la guerra, contro Mussolini e contro il Re.
I romani ascoltano Radio Londra, sentono che la fine è vicina anche per la Germania. Sentono dei bombardamenti di Amburgo, di Colonia, di Lipsia, 10, 30, 50 volte quello di San Lorenzo. Sentono di Berlino, investita quasi ogni notte da tempeste di fuoco.
24 luglio 1943. A Palazzo Venezia si riunisce il Gran Consiglio del Fascismo. Per la prima volta i gerarchi criticano Mussolini. Chiedono che il Re assuma il comando delle forze armate.
25 luglio 1943. Mussolini chiede udienza al Re che gli comunica di averlo sostituito con Badoglio. Quando esce, viene arrestato dai carabinieri.
Ancora bombardamenti su Roma: le incursioni saranno 51, 7000 i morti.
8 settembre 1943: Gli italiani apprendono che è stato firmato l’armistizio. Il governo, lo stato maggiore, la famiglia reale si mettono in salvo.
L’Italia è occupata dai tedeschi, nemici, non più alleati.
Sandro Pertini, che, dopo tanti anni trascorsi in esilio, in carcere, al confino, è stato liberato, è a Roma per continuare la sua lotta. Questo il suo ricordo:
La notizia della fuga di Vittorio Emanuele con Badoglio giunse al Comitato di Liberazione di Roma improvvisa e destò sdegno in tutti noi.
Ricordo che con i partigiani socialisti romani andammo a Porta San Paolo. Vi trovammo ufficiali dei granatieri con i loro soldati. In breve tempo si strinse intorno a noi gente del popolo.
Vi era sul volto di tutti e nelle imprecazioni della folla un grande sdegno contro il re che era fuggito abbandonando Roma alla sua sorte. Gli ufficiali dei granatieri li vidi piangere di rabbia. Si sentivano vilmente abbandonati dal re e da Badoglio e si apprestavano a resistere ai carri armati tedeschi che stavano per entrare in Roma da Porta San Paolo.
Fu naturalmente una lotta impari.
Le truppe naziste entrarono in Roma e la occuparono.
Dal diario di Jessica Lynch (Madre Mary Saint-Luke), Ufficio Informazioni Vaticane:
La città intera era un formicolio di tedeschi. Si aggiravano qua e là con autoblindo e mitragliatrici puntate in modo eloquente sui passanti, gironzolavano con rivoltelle e fucili, l’aria arrogante.
Soldati italiani apparvero in disordine, allo sbando lungo il Tevere, polverosi, affamati e fradici. Ma non c’erano ufficiali. Gli uomini riferirono che i loro ufficiali avevano detto: “Non abbiamo più munizioni, fate quel che potete per voi, ragazzi...” e li lasciarono. Gli uomini erano pronti a combattere l’imminente avanzata dei tedeschi, ma non erano guidati.
Roma è stata dichiarata “città aperta”, in realtà è occupata dai nazisti ed esposta ai bombardamenti degli Alleati.
13 settembre. Viene firmata la resa di Roma. Mussolini, liberato dai tedeschi, viene messo a capo della Repubblica Sociale Italiana, la Repubblica di Salò, nel nord Italia.
26 settembre. A Villa Wolkonsky, sede dell’Ambasciata Germanica, vengono convocati i più alti esponenti della comunità israelitica. Entro 36 ore dovranno consegnare 50 chili d’oro, altrimenti 200 ebrei saranno deportati in Germania.
Gli ebrei romani, aiutati anche da romani non ebrei, raccolgono l’oro e lo consegnano. Il pericolo sembra scongiurato.
29 settembre. Un ufficiale nazista si presenta in Sinagoga. E’ un bibliofilo raffinato ed esamina con attenzione il tesoro contenuto nella Biblioteca: incunaboli, edizioni rare, preziosi manoscritti. Qualche giorno dopo scende, davanti alla Sinagoga, da un tram che traina due vagoni ferroviari. Con lui sono due facchini che caricano tutto sui carri, destinazione Monaco.
6 ottobre 1943. I carabinieri di Roma e del Lazio, che avevano arrestato Mussolini e combattuto contro gli occupanti dopo l’8 settembre, vengono disarmati su ordine di Rodolfo Graziani, ministro della Repubblica di Salò. Durante la notte vengono condotti alle stazioni Ostiense e Trastevere, caricati su vagoni piombati e deportati in Germania.
Sono circa 2000, 591 di loro moriranno nei campi di concentramento.
Racconta un superstite, il carabiniere Renzo Sasso:
La notte del 6 ci disarmarono e, scortati dai tedeschi, ci incamminammo verso la stazione. Eravamo dei vinti. Ci fecero salire su carri bestiame e partimmo per la Germania.
16 ottobre 1943. Sabato sedici ottobre 1943, prima delle luci dell’alba, le SS circondano l’area del ghetto, accanto all’antico Teatro Marcello; il maggiore Herbert Kappler ha da poco ricevuto un comunicato in cui Himmler chiede che tutti gli ebrei, senza distinzione di nazionalità, età, sesso vengano trasferiti in Germania e ivi “liquidati”.
Alle 5.30 le SS bloccano le vie del ghetto, tagliano i fili del telefono e scaraventano tutti giù dal letto, anche malati e bambini. Alla fine 1259 persone vengono arrestate. Le attendono alla Stazione Tiburtina i vagoni piombati che le porteranno ad Auschwitz.
Il racconto di un testimone, Aldo Gay:
Il racconto di una sopravvissuta:
Quel 16 ottobre avevo 19 anni e vivevo in via della Reginella, insieme a mio padre, mia madre, altre due sorelle e una nipotina. Dopo la consegna dell’oro, pensavamo che i tedeschi ci avrebbero lasciato in pace, invece la mattina presto di quel sabato sentimmo dei rumori per la strada.
Io ricordo che tentai di ribellarmi. Volevo reagire, scappare. Ma i miei in buona fede mi dicevano: “Vedrai, che ci possono mai fare...”
Quando eravamo sui carri bestiame diretti ad Auschwitz, mia madre ancora mi diceva: “Che vuoi che ci facciano, mica ci ammazzeranno, lavoreremo”. Poi ci furono i vagoni piombati, l’arrivo in Germania, la selezione.
Il racconto di una suora:
Abbiamo visto arrivare al cancello di via Gentiloni una folla di persone che ci imploravano di essere accolte. C’era stata la grande retata dei tedeschi e questi ebrei impauriti avevano lasciato le loro case in cerca di un rifugio. Era gente disperata, fuggita di casa così come si trovava, senza prendere nulla con sé. Noi naturalmente li abbiamo fatti entrare, cercando di sistemarli il meglio possibile, dando loro i nostri materassi. Paura ne avevamo tutti e molta. Stavamo sempre col fiato sospeso, sempre col timore di una spiata.
Kappler riferisce a Berlino:
La parte antisemita della popolazione non è apparsa durante l’azione, mentre la grande massa cercava di tirare via gli ebrei dalle mani della Polizia.
E poi:
Popolazione eccitata e furiosa dopo l’azione contro gli ebrei. La pietà è il sentimento dominante nelle classi più basse, in modo particolare perché sono stati presi donne e bambini. Crescente indignazione, in modo particolare contro la Polizia tedesca.
La notte tra il 16 e il 17 ottobre sulla via Appia procede un’autocolonna della Wehrmacht. All’improvviso degli scoppi. Diversi automezzi finiscono l’uno contro l’altro. E’ un attacco dei partigiani, che sulla strada hanno disseminato i chiodi a quattro punte, mezzo semplice, ma micidiale.
E’ questa la prima azione della Resistenza romana per contrastare la forza infinitamente superiore dei nazisti.
Un partigiano dei GAP, i Gruppi di Azione Patriottica:
Tra gli obiettivi che noi ci ponevamo c’era questo: la Wehrmacht non era invincibile: dovevano sentire che non erano i padroni di Roma, che avevano una popolazione ostile. Noi dovevamo attaccare le linee di comunicazione, i loro passaggi, il transito degli automezzi, gli automezzi in sosta. Loro non dovevano sfilare impunemente per la città.
Nella Roma occupata ha inizio la guerra clandestina. Sandro Pertini, sotto falso nome, si occupa dell’organizzazione del Corpo Volontari della Libertà”, Giunta Militare del Comitato di Liberazione Nazionale.
In seguito a una spiata, il 15 ottobre Pertini e Saragat vengono arrestati e, senza processo, condannati a morte. In attesa dell’esecuzione vengono rinchiusi nel carcere di Regina Coeli.
Così Pertini ricorda il suo incontro con il grande intellettuale Leone Ginzburg:
Un giorno portarono nella nostra cella Leone Ginzburg, che era stato massacrato di botte dalle SS tedesche. Era tutto una macchia di sangue, il ricordo mi commuove ancora. Aveva le labbra gonfie, gli occhi coperti dalle piaghe. Mi disse: “Sai, voglio scrivere una lettera a Natalia, a mia moglie, per lasciare questo messaggio: Guai se domani dovessimo coinvolgere tutto il popolo tedesco nella responsabilità di Hitler e dei nazisti! Noi dobbiamo dare una testimonianza”.
Leone Ginzburg, arrestato nel 1943, muore un anno dopo nel carcere di Regina Coeli.
Il 14 febbraio del’44 Pertini e Giuseppe Saragat, considerati i capi antifascisti più pericolosi, riescono ad evadere da Regina Coeli. Sono aiutati dal medico del carcere e dai loro compagni, con una finta telefonata all’Ufficio Matricola e moduli di scarcerazione rubati.
Pertini vuole che siano liberati anche i suoi compagni di cella, che, però, non sono stati informati e sono convinti di essere rilasciati regolarmente.
Racconta Marcella Monaco, moglie del medico di Regina Coeli:
A casa dissi: “E’ fatta! Stanno uscendo!” Invece stava succedendo un altro guaio. Quando si esce si deve passare in matricola, a firmare e a ritirare gli oggetti personali: i lacci delle scarpe, l’orologio, eccetera. Vanno lì, e uno di loro vede che nella busta gli mancano i gemelli. Lui non sapeva che stavano scappando, credeva a un rilascio regolare e disse duro: “Io non me ne vado di qui se non mi ridate i gemelli”. Pertini gli dava dei calci, ma quello insisteva: “rivoglio i gemelli”. La guardia faceva: “ritorni domattina a prendere i gemelli, li ha un capoguardia che non è di turno”. Pertini allora lo acchiappa e gli mormora: “guarda che non stiamo uscendo, stiamo scappando”. Quello impallidisce e lascia perdere i gemelli.
Pertini lascia Roma e si dirige verso il nord per continuare la sua lotta come comandante partigiano.
22 gennaio 1944. Gli Anglo-Americani sbarcano ad Anzio. A Roma arriveranno solo sei mesi dopo.
I bombardamenti, intanto, diventano ancora più intensi, mentre la guerriglia partigiana si fa sempre più aspra e sempre più dura diventa la repressione nazista. I militanti della Resistenza, i partigiani del CLN, come pure gli alti ufficiali del Fronte Militare Clandestino con il loro capo, il colonnello Montezemolo, quando vengono catturati finiscono nelle camere di tortura naziste e fasciste di via Tasso e della pensione Jaccarino, dove vengono selvaggiamente torturati.
I bombardamenti non colpiscono solo gli obiettivi militari, ma i quartieri e la popolazione civile. Roma è straziata dal freddo, dalle devastazioni, dalla fame.
Una ragazza di Montesacro:
Mi ricordo che con mia sorella ci volevamo suicidare per la fame. Mi sognavo il pane di notte. Incredibile! E le malattie, perché se non mangiavi eri debilitato e allora pulci, pidocchi e ogni sorta di cose. Non c’era sapone, non c’era niente. E poi il freddo. Andavi a dormire senza mangiare per cui già sentivi il freddo.
Tanti sono i profughi che vengono dalle zone più colpite dalla guerra, non sanno dove andare, molti si accampano sotto i portici di San Pietro. I bambini sono le maggiori vittime, spesso denutriti e rachitici. Caterina Martinelli è una madre che ruba del pane per sfamare i suoi figli. Viene uccisa.
Ma nella Roma prigioniera i gruppi partigiani del CLN, GAP, Giustizia e Libertà, Bandiera Rossa, non si arrendono, continuano a contrastare gli occupanti nazisti e i fascisti loro complici.
Sono anche gli Anglo-Americani a sollecitare che le formazioni partigiane del CLN vengano mobilitate per alleggerire la pressione tedesca sulle truppe alleate ferme ad Anzio. La Resistenza romana non dovrà più solo “rendere la vita impossibile” agli occupanti, dovrà combattere con gli Alleati per cacciare i nazisti dalla città.
Questo l’appello la notte dello sbarco:
Combattete in tutti i modi possibili, sabotate il nemico, bloccategli le vie di ritirata, distruggete le sue vie di comunicazione, colpiteli dovunque.
Alla guerriglia partigiana nazisti e fascisti reagiscono con ferocia, con gli arresti, la tortura, le fucilazioni.
La partigiana Maria Teresa Regard ricorda via Tasso:
Era un luogo terribile. Dallo spioncino della mia cella vedevo persone straziate, con volti sui quali non era possibile distinguere più alcun tratto umano, tanto erano lividi e gonfi, ed ancora incoscienti venivano riportati di peso in cella perché incapaci di resistere in piedi a causa delle torture subite. Le urla, il dolore, l’angoscia, era sempre buio, non cambiavano mai l’aria. Gioacchino Gesmundo lo torturarono per interi giorni, alla fine lo reggevano perché non stava più in piedi. Anche Giorgio Labò fu torturato senza pietà e il suo silenzio e quello di Gianfranco Mattei salvò la vita a tutti i gappisti romani. Gianfranco, per evitare le torture, una volta in cella, si tolse la vita. Giorgio aveva i polsi ormai in cancrena a causa della corda che gli teneva le mani legate dietro la schiena. Il suo silenzio fu eroico, non disse una parola, alla fine, col corpo ormai distrutto, fu portato a Forte Bravetta e lì fu fucilato.
3 marzo 1944. Come ogni giorno, per via Rasella, sfila cantando il reggimento Bozen. La strada è deserta, c’è solo un netturbino col suo carretto della spazzatura. All’improvviso un’ esplosione, muoiono 33 militari.
E’ stato un attacco di guerra, il carretto conteneva una bomba, lo spazzino era un giovane gappista, “Paolo”, Rosario Bentivegna.
Rosario Bentivegna:
La guerra fatta sul serio la porti dentro come una sporcizia, per sempre. Anche se, sia chiaro, io sono mille volte convinto che fosse giusto farla. Ma non c’è mai stata un’azione in cui, prima, non avessi provato paura; e, dopo, nausea, voglia di vomitare.
4 marzo 1944. La rappresaglia per l’attacco di via Rasella è immediata: per ogni tedesco ucciso saranno uccisi dieci italiani. Kappler, comandante della Gestapo a Roma, preleva da via Tasso e da Regina Coeli 335 detenuti, per un errore cinque in più di quanto stabilito. Sono detenuti politici, detenuti comuni, ebrei. Hanno dai 14 ai 75 anni. Vengono caricati su dei camion, con le mani legate dietro la schiena. Attraversano Porta San Sebastiano, la via Appia, la via Ardeatina. Alle Cave Ardeatine uno dopo l’altro vengono uccisi.
La resistenza della popolazione romana, stremata dalla fame e dal terrore dei bombardamenti quasi quotidiani, è spesso una resistenza passiva, ma nei quartieri popolari continue sono le sommosse e le ribellioni. Le borgate sono difficilmente controllabili e lì soprattutto le bande partigiane, i GAP e le formazioni di Bandiera Rossa, agiscono, con vere azioni militari.
I nazisti rispondono con retate, a Pietralata, a Centocelle, a Cinecittà, alla Borgata Gordiani.
Il Quadraro, quartiere popolare di operai e di artigiani alla periferia a sud est di Roma, al centro di vie di importanza strategica, era noto come un covo di partigiani, di sabotatori, di renitenti alla leva. Si diceva che lì i tedeschi non potevano entrare.
Il 17 aprile del ’44, alle 5 del mattino, il quartiere viene circondato, in ogni casa si presentano militi fascisti e tedeschi con i mitra spianati, cercano uomini dai 16 ai 55 anni. Non sanno che i partigiani sono rifugiati nel vicino sanatorio, l’Istituto Ramazzini, con tanto di cartella clinica. I 947 arrestati vengono deportati nelle fabbriche e nelle campagne del Reich. Ne torneranno solo la metà.
Maggio 1944. Gli Alleati, bloccati sulla spiaggia di Anzio, sfondano a Cassino ed avanzano lasciando dietro di sé i paesi bombardati in macerie e umiliazione e dolore per le violenze e gli stupri delle truppe coloniali del generale Juin.
Tanti sono i caduti, anche fra gli Alleati, uomini venuti da terre lontane per difendere la libertà di un Paese che non conoscono.
A Roma la situazione si fa sempre più drammatica. Le formazioni partigiane riprendono con più intensità gli attacchi ai tedeschi, mentre aumentano i rastrellamenti e si riempiono le celle dei luoghi di tortura.
3 giugno 1944. Il maresciallo Kesselring ordina la ritirata. E’ l’ultimo giorno di Roma nazista.
I detenuti politici di Regina Coeli vengono liberati.
Una di loro, Carla Angelini, era nell’infermeria del carcere:
La mattina sono entrate le suore di corsa gridando: “Potete uscire! Siete libere!” e allora giù di corsa. Non avevo i soldi del tram. Salgo sulla circolare rossa e dico al fattorino: “Guarda, i soldi non ce l’ho. Esco adesso da Regina Coeli, ero una detenuta politica. Che facciamo?” Quello mi sorride: “Bella mia, vieni, mettiti seduta!” Sono scesa a Piazza Quadrata e da lì me la sono fatta a piedi, di corsa, avevo vent’anni, mi sembrava di volare.
Un lungo corteo di Panzer, di camion militari, esce dalla città e si dirige verso le vie consolari che portano al nord. Sugli autocarri sfilano, con le armi spianate, soldati sporchi, laceri, gli occhi perduti. Scappano gli aguzzini nazisti, scappano i gerarchi fascisti.
Elsa Morante vede le colonne tedesche lungo il Corso, fra piazza Venezia e piazza del Popolo:
Una processione sterminata di camion stracarichi di soldati germanici, tutti neri di fuliggine e sporchi di sangue. La gente li guardava e non diceva niente. Loro non guardavano nessuno.
Kesselring risparmia la città eterna, niente distruzioni, niente esplosioni, ma un’ultima atroce vendetta.
4 giugno 1944. I detenuti di via Tasso vengono caricati su due camion. Il primo, il più affollato, si ferma subito per un guasto e i prigionieri vengono riportati nell’orrore delle loro celle. L’altro si avvia verso il nord, ma a La Storta, sulla via Cassia, i quattordici prigionieri vengono fatti scendere e fucilati. Fra loro il sindacalista Bruno Buozzi.
Arrivano gli americani.
Hanno impiegato quattro mesi per percorrere i 50 km. che separano Anzio da Roma. Contro il parere del generale Alexander, il generale Clark, per entrare a Roma prima degli inglesi, consente all’armata tedesca di fuggire e di riversarsi sulla linea gotica.
Grande è l’ esultanza, una folla si riversa sulle vie Appia, Tuscolana e Casilina per accogliere gli Americani.
Nella Roma liberata mancano il cibo e l’energia elettrica, i trasporti sono quasi inesistenti, dilagano la borsa nera e la criminalità. Per fame migliaia di bambini si danno alla delinquenza, molte donne si prostituiscono.
Ma, mentre tanta parte del Paese, ancora prigioniera di nazisti e fascisti, è stremata da stragi e bombardamenti, lentamente a Roma la vita ricomincia.
Trastevere, 1945, nelle fotografie di Federico Patellani
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a cura di: Annamaria Mangiotti